****
Kariba, la mia
Africa.
Operation Noah
- Operazione Arca di Noè
Quella
primavera del '69
|
2014,
pp. 248, € 16,00
CINPSY
EDITION
|
I ricordi di una fanciullezza-adolescenza
sono il lievito di questo narrare poetico:
un'esperienza emozionante vissuta sui
contrafforti del mitico fiume Zambesi in
Sud-Africa, dove per 5 anni migliaia di
emigranti italiani vissero sulle colline
dell'altopiano molti avvenimenti creativi
contribuendo alla costruzione di una diga,
una centrale elettrica ed un grande bacino
artificiale, denominato Lago di Kariba.
La narrazione oltre che riportare fatti
storici importanti, come l'integrazione
tra le varie etnie, le divergenze
politiche e le difficoltà incontrate dalle
maestranze nelle costruzioni per
imbrigliare il fiume Zambesi, riporta la
crescita di un gruppo di ragazzi
adolescenti alla Kariba School e
nell'habitat circostante della foresta a
galleria, dove inscenavano divertenti
giochi e fantasiose avventure.
Fenomeni di costume nella vita delle
persone multi-etniche vengono narrati con
un sentimento compartecipe: dai morti
della diga, alle lotte delle tribù
batonga, ai legami di amore e di amicizia,
fino allo spettacolare salvataggio dalle
acque degli animali della foresta,
denominato "Operation Noah" - (Operazione
Arca di Noè).
In appendice alcuni racconti presilani
dopo il ritorno in Italia. Dedicato a
coloro che vissero a Kariba e alle persone
che desiderano conoscere quella
straordinaria avventura del lavoro
italiano in Sud-Africa.
*****
DEDICATO A
Alla
memoria di mio padre Giovanni Belli,
senza
la sua linea immaginifica
questi
racconti non avrebbero avuto senso.
A
Mister Rupert Fothergill,
capo ranger rhodesiano della
misssion
“Operation
Noah”, per il suo eroico impegno
alla
salvaguardia degli animali.
Entrambi
dedicarono alcuni degli anni
della
loro maturità
alla costruzione e alla salvaguardia
dell’habitat
del Lago di Kariba.
Mio
padre Giovanni, morì a cinquantanni
e sette mesi
il 29 luglio 1970.
Mister
Rupert Fothergill
è morto a 62 anni il 26 maggio1975
e
oggi un’isola del Lago Kariba porta
il suo nome.
(...)
Un ringraziamento particolare a
Frank Clements.
Vengono
riportate nella narrazione alcune
pagine storiche
sulla creazione della cittadina
karibiana
ed
altre notizie, tratte
dal
suo memorabile racconto
“
Kariba: The Struggle with the River
God (1959)”
Versione
italiana
Kariba,
la lotta col dio fiume ,
Milano,Garzanti,
1960, pp.224.
Trad.
Helen Dennis Guglielmini.
*****
1.
Kariba- il paese del sogno
(...)
Nella valle dello Zambesi, a sud verso
la confluenza con il Sanyati, vivevano i
Batonga. Nel 1957, quando la nostra
famiglia raggiunse mio padre, cominciava
il loro esodo. Furono convinti a
spostarsi verso terre vicine in quanto
le loro sarebbero state invase dalle
acque...”, iniziai. “Anche là una
foresta alluvionale?”, chiese Joanna.
“Non
proprio. La pianura sarebbe stata invasa
dalle acque frenate dalla diga, che
aveva imbrigliato il fiume sulle gole di
Kariba ...”.
“E
tu eri là? Come mai?”, chiese Iris.
“Mio
padre lavorava con l’Impresit-Kariba, un
consorzio di ditte italiane che aveva
avuto l’appalto più grosso per la
costruzione della diga e della centrale
idroelettrica...”.
“Noi
italiani siamo un popolo di emigranti,
anche mio padre venne in Ecuador per
lavoro, poi si è sposato con mia madre e
adesso viviamo a Quito...”, entrò
Joanna. ”
“A
Kariba, una cittadina sorta in poco
tempo sulle colline, l’ambiente era
cosmopolita. Sulle sue strade
punteggiate dalle acacie e allietate dai
babbuini si potevano ascoltare varie
lingue: inglese, francese, spagnolo,
americano, svizzero, portoghese,
svedese...Potevi sentirti chiamare:
mister, senhor, monsieur, baas, anche se
l’appellativo più consueto nella Kariba
bianca era «signore». Gli Italiani
eravamo il gruppo etnico più numeroso,
quello preferito dagli indigeni d’etnia
«Bantu», come i Batonga, questi
sembravano imparare meglio l’italiano
che l’inglese...”.
“Noi
Italiani siamo un popolo che
familiarizza subito con tutti!”, disse
Joanna.
“E’
vero, intervenne Iris, noi Tedeschi
siamo più severi come i suoni gutturali
della nostra lingua”.
“E
poi...Come si viveva in Sudafrica ?”,
chiese Alexandro.
“...Frequentavo
la Kariba-School, i miei compagni erano
inglesi, francesi, portoghesi, spagnoli,
etc... e naturalmente italiani”.
“Un
gruppo varieggiato, come questo nostro
sul Napo!”, disse Joanna.
“E’
quello che stavo dicendo prima...
L’ambiente cosmopolita ebbe la sua
notorietà internazionale quando,
imbrigliato il fiume, iniziò l’esodo
degli animali della foresta...
Lo
Zambesi aveva tentato di ribellarsi alla
cattura con tutte le sue forze: dal 1956
al 1958, grandi ondate di piena
rischiarono di ritardare i lavori. Nel
1957 la piena allagò il «cofferdam», lo
sbarramento provvisorio per approntare
le fondazioni in corrispondenza
dell’alveo del fiume deviato
temporaneamente, con una portata di 8200
metri cubi il secondo. Il canto del
cigno, prima della sua resa, il fiume lo
dette con l’ondata di piena del 1958 che
raggiunse l’incredibile portata di
16.300 metri cubi il secondo. Le acque
spazzarono via tutto intorno alla diga
in costruzione (i ponti dei veicoli e
dei pedoni) e tutte le strade adiacenti
alla gola. (...)
Ricordo
quei giorni: mio padre faceva dei turni
di lavoro massacrante; l’unica
soddisfazione sua, e quella dei tecnici
e delle maestranze, era quella di aver
evitato il disastro totale. «La
cattedrale», la grande zona scavata
sottoterra (cuore della centrale
idroelettrica) per allogarvi turbine-
generatori- trasformatori giganteschi,
fu salvata in quanto gli accessi furono
ostruiti con la massima rapidità. Come
opera di prevenzione furono costruite
due cateratte aggiuntive per
fronteggiare evenienze future di altre
grandi piene...”.
“E
l’esodo degli animali? Come avvenne?”,
chiese Joanna.
“A
pensarci bene fu lo stesso Zambesi ad
avvisare la fauna con le sue enormi
piene, favorendo lo spostamento più a
nord e più a sud della grande valle...
Poi, quando furono ripresi i lavori ed
eretta la diga, la grande piena
artificiale iniziò a sommergere la valle
(dicembre 1958). Gli elefanti ed i
bufali, rimasti in trappola sulle isole
provvisorie, che diventavano sempre più
piccole con 1’avanzare delle acque, si
salvarono a nuoto raggiungendo le
sponde. La foresta vergine era popolata
di elefanti, rinoceronti, bufali, leoni,
leopardi, antilopi, scimmie, serpenti ed
innumerevoli piccoli animali...”.
“Avevo
sentito raccontare dell’eccezionalità di
questa operazione. Come furono salvati
gli altri animali?”, chiese Joanna.
“In
quei giorni a Kariba (ripresi),
precisamente il 4 dicembre 1958, fu
benedetta la Chiesa. Ricordo la
cerimonia suggestiva: due operai
aprivano il corteo, reggendo il grande
crocefisso scolpito in legno da uno di
loro, seguiti da bambini e bambine
vestiti di bianco per la loro Prima
Comunione e la Cresima...
Dall’alto
della collina, dove si ergeva la Chiesa
dedicata a Santa Barbara, mi recavo ogni
giorno a scrutare la valle che stava
pian piano allagandosi. Un altro evento
doloroso si era svolto in primavera, in
coincidenza con l’ondata di piena:
crollò un pozzo e perirono parecchi
operai. Questo per dirvi che non furono
soltanto gli animali a pagare con la
vita o tutto l’ecosistema vegetale...
Molti
animali sembravano paralizzati
dall’incredibile vista del grande fiume
«che correva all’indietro» e si
attardarono a mettersi in salvo. Alla
Kariba - School non ci parlavano del
dramma che stavano vivendo gli animali:
ma l’omertà, in cui eravamo mantenuti
(suppongo perché considerati troppo
piccoli per comprendere), era rotta dai
racconti degli operai. Mio padre, che
lavorava in quei tempi nella foresta
dopo aver dato il suo contributo ai
lavori della cattedrale (esonerato per
l’aggravarsi delle sue condizioni di
salute), raccontava di incredibili
avvistamenti di animali che si
spostavano impauriti.
Nel
racconto di un suo amico, che era
adibito a perlustrare le acque in
espansione dello Zambesi, avevo sentito
tutta la pietà per gli animali
intrappolati nelle isole, che
spogliavano la terra d’ogni filo d’erba
per la fame. Furono viste scimmie
(babbuini in particolare) disperate
cercare larve e vermi, rivoltare sassi e
tronchi d’alberi abbattuti...
L’omertà
delle autorità rhodesiane fu rotta
dall’eco della notizia, quando qualche
giornalista parlò della triste sorte
degli animali. Arrivò proprio
dall’Inghilterra la maggior pressione
d’indignazione: si fece una
sottoscrizione, fu destinato un fondo
per il salvataggio degli animali di
Kariba, con cui furono acquistati motori
fuoribordo e barche insieme ad altro
materiale di soccorso.
Le
offerte di aiuto delle persone
sensibili, che desideravano venire a
proprie spese a Kariba per contribuire
alle operazioni di salvataggio, furono
disattese dalle autorità...”, continuavo
il racconto e sentivo tutta l’attenzione
dei compagni amazzonici.
“
Non comprendo il perché di questo
atteggiamento delle autorità politiche
... ”, chiese Iris.
“
Forse volevano dimostrare al mondo che
potevano fare da soli ...”, rispose
Joanna
“
O più semplicemente poca coscienza di
come salvare gli animali, di
quell’ecosistema sullo Zambesi, non
fosse unicamente un’operazione locale:
oggi c’é più consapevolezza, grazie ad
una maggiore sensibilità di parecchie
associazioni ecologiste internazionali
”, intervenne Alexandro.
“
E’ vero, ma tutto questo non è riuscito
a fermare ancora il fagocitante delirio
umano di affrontare i problemi della
natura con molta incuranza!
(Continuai)... Sfruttare e devastare
l’utero della Terra è la vera follia a
cui l’Umanità deve trovare un freno...”.
“
E poi, cosa accadde, gli animali furono
salvati? ”, chiese Iris.
“
(...) I guardiacaccia della Rhodesia,
insieme agli aiutanti indigeni,
effettuarono la loro «Operazione Arca di
Noe’». Chiesi della situazione al prete
cattolico (Don Giuseppe Betta) e lui mi
rassicurò che l’operazione era più
semplice di quella storica del profeta
biblico... Comunque fecero un buon
lavoro di salvataggio. A costo di
sfidare i pericoli di morsi, ed altri
incidenti, i babbuini venivano prelevati
nell’acqua avvicinandosi da dietro:
afferrati per la testa con la sinistra e
per la coda con la destra.
Furono
compilate tabelle per stabilire le
distanze che potevano essere percorse a
nuoto dagli animali stanchi ed in preda
al panico: le antilopi 2 km. e mezzo, i
babbuini 400 m. circa, altre scimmie
all’incirca 200 m.; la gallina faraona
100 m., gli scoiattoli e le scimmie
notturne appena una decina di metri. Le
zebre, come le antilopi impala e i
facoceri, tentavano raramente di
nuotare; li prendevano con delle reti
sulle isolette che erano destinate a
scomparire e cosi venivano portati in
salvo...
Nelle
calde sere a Kariba, mentre gli animali
più fortunati che vivevano sui
contrafforti delle colline continuavano
indisturbati il loro concerto notturno,
ascoltavo i racconti dei vicini, mentre
gli adulti bevevano birra. Alcuni
parlavano degli ultimi leoni e leopardi
che erano stati avvistati mentre si
rifugiavano nell’interno della foresta;
la maggior parte dei felini si era già
spostata in anticipo all’inizio della
stagione delle piogge, prima
dell’inondazione dell’habitat.
Sentivo
riferire che le impala avevano perso
l’avversione per l’acqua, si erano messe
a nuotare per alcuni tratti spinte
dall’istinto di salvezza; mentre le
antilopi cobo erano state viste aiutarsi
a vicenda, nuotando in cordate per
guadagnare le rive asciutte...
Non
so se tutto quello che ascoltavo fosse
vero, certamente abbastanza
suggestivo...”, continuavo ed ero
compiaciuto della loro attenzione.
“
E tu, cosa facevi ... Hai organizzato
qualche azione di protesta?”, chiese
Iris.
“
Oh certo! A modo mio protestavo... Avevo
appena undici anni! ”, risposi. (...) *
|