Parte Terza
"Verso l'Oriente Amazzonico”
da pp. 199-201
(...) Riprendemmo la marcia ed uno svolazzare di tucani segnalò che eravamo prossimi all'accampamento wao. Questa volta l'indio, che fungeva d'apripista, si fermò. Tirò fuori una cerbottana, lunga insolitamente un metro e mezzo, la caricò con un dardo e dette prova della sua abilità nella caccia. Con un fruscio leggero e secco, la freccia si diresse verso lo stormo degli uccelli: un grosso tucano cadde colpito. Il ragazzino lo raccolse e lo portò tutto giulivo come un trofeo prezioso.
(...) Arrivammo al campo. Un appezzamento di terreno era tutto coltivato e alcune donne stavano raccogliendo i tuberi della manioca: estirpavano l'intera pianta, cresciuta a cespuglio, e raccoglievano i tuberi. Ai lati dell'orto crescevano palme da frutto e banani. Più avanti in una radura attigua erano stati abbattuti degli alberi ed altri Waorani, donne in particolare, stavano pulendo il terreno. Degli uomini erano in procinto di completare una grande capanna. Fummo accolti con curiosità sospettosa.
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(...) In più fuochi stavano arrostendo della carne, sia dentro le capanne che all'aperto. Fummo accompagnati a visitare l'accampamento, uno dei figli del wao/padre mostrò compiaciuto l'opera di costruzione di una grande capanna che stavano ultimando al limite del nuovo orto (huerto-quewencode) dove alcune donne ripulivano il terreno dai rami tagliati e, con un rudimentale aratro appuntito, dissodavano la terra prima della nuova piantagione. (...) Ricordai, per similitudine alcuni periodi della mia infanzia di wao sulle montagne della Sila, ancora prima dell'altopiano africano... Il nonno Antonio, padre di mia madre, d'estate faceva il tagliaboschi (con figli e nipoti) tra i faggi ed i pini silani: preparava la legna per costruire le «carbonaie», vere piramidi fumanti di carbone. E tra una pila e l'altra, nelle radure si costruivano i pagliai, vere capanne di legno e foglie di ginestre, più fresche e confortevoli delle baracche degli allevatori di bestiame... Era soltanto un'analogia: ammirai l'abile tecnica di costruzione della grande capanna, all'incirca 30/40 mq; di forma rettangolare che finiva con un tetto alto piramidale, tutt 'intorno le pareti erano tappezzate di foglie di palma intrecciate con cura; la struttura era sorretta da tronchi robusti (ai lati verticali) che reggevano altri, in posizione trasversale, a mò di travi per il tetto, Non c'erano finestre, ma soltanto delle entrate situate al centro dei due lati più stretti. Continuavano a lavorare per ultimare il rivestimento. C'era chi portava foglie, chi tagliava, chi reggeva, chi intrecciava o legava con fibre, prodotte dalle palme stesse. Alexandro si avvicinò per spiegare, a me ed a Joanna, che la grande capanna sarebbe servita per il «manicabo»: la famiglia allargata, in cui avrebbero convissuto il capo famiglia (el varon) insieme alle sue mogli e figli. Joanna osservò come tutti i tronchi usati fossero di palma (chonta), legno duro e resistente che viene usato anche per la fabbricazione delle varie armi (cerbottane, frecce, lance. ecc...). .
(...) L'aria di festa divenne avvolgente quando con canti e danze iniziarono nenie e movimenti del corpo. ”Forse si celebrerà un matrimonio.”, c'informò Alexandro. ”Una cerimonia nuziale?!”, chiese meravigliata Joanna. Il ragazzo cercò conferma dal varon se ci fosse veramente qualche celebrazione particolare e questi rispose di assistere senza chiedere altro, quasi a proteggere il rito che stava per iniziare. Un movimento improvviso si verificò nel gruppo: gli uomini si alzarono e ponendo in testa un giovane, particolarmente decorato, formarono una fila indiana serpeggiante a movimenti ritmici. Il ballo ed i canti divennero più frenetici, la fila degli uomini cominciò il giro dell'accampamento, ognuno muovendo le mani sulle spalle del compagno davanti. Poi si fermarono innanzi ad una delle capanne, dove sulla soglia erano in attesa le donne. Una fanciulla, anch'essa ben decorata, fu prelevata e buttata tra le braccia del giovane che era stato posto in testa alla fila. Furono letteralmente poggiati su un'amaca, qualcuno portò loro del tepae ed iniziarono ad offrirselo a vicenda. Tutto il gruppo fece corona, ci avvicinammo anche noi invitati dal varon che pronunciò la formula di rito. «... Voi due volerete insieme/ come una coppia di Macaws (pappagalli) blue e oro./ Aspettando l'uccello blue e oro/ lui prende lei e volano,/ proprio come si abbraccia l'animale/ preferito lui abbraccia lei./ Allo stesso modo in cui si ammira/ la bellezza di un Macaws blue e oro, / lui ammira la bellezza di lei./Quando piove lui porterà del cibo/ e lei lo mangerà./ Assetato di tepae, lui tornerà dalla foresta/ e il suo Macaws blue e oro lo disseterà./ Porta il tuo Macaws blue e oro/ in un bel posto tranquillo e falla sedere./ Là vivrete uniti ed in pace.» (...) Ritornava la Bellezza, vedevo l'armonia e la semplicità del loro vivere e mi chiedevo se l' Uomo Occidentale avesse saputo preservare l'autonomia e garantire la libertà a quel popolo cacciatore-raccoglitore. Loro possiedono la «Bellezza Prima», quella naturale che noi abbiamo irrimediabilmente perduto. I Waorani «nell'utero amazzonico», solcato da acque, a volte limpide e spesso limacciose, vivono secondo le loro credenze, superstizioni, traumi, fermi ad uno stadio di vita primordiale, in contatto comunque con la bellezza naturale. La selva amazzonica, che sta conoscendo in questi ultimi decenni devastazioni incessanti da parte dell'uomo occidentale, avrebbe bisogno di politiche meno invasive da parte degli stati confinanti. Soltanto una presa di coscienza forte e responsabile potrebbe fermare, o quantomeno attenuare, quei processi divoranti-seduttivi del consumismo, costruendo soluzioni creative sia per proteggere l'habitat amazzonico che le varie etnie indigene. Sapremo porre un freno alla nostra invidia famelica e non distruggere questo che è forse il più vasto ecosistema naturale del Pianeta?
Continua... |